Il Capo del Servizio Informazione Militare (S.I.M.), generale Giacomo Carboni traccia il profilo psicologico di Mussolini

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Di Santi Maria Randazzo

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Il generale Giacomo Carboni, che sin dagli anni ’20 del novecento operò per conto del S.I.M. in diverse nazioni, nel 1937 venne promosso a generale, a quella data il più giovane generale dell’Esercito, e nel novembre 1939 viene nominato capo del S.I.M., contribuendo in modo determinante a rendere efficientissimo il S.I.M. al punto tale da far dire ai Francesi nel 1940 che esso:” […] era divenuto il migliore d’Europa.” (1) Le sue relazioni che puntualmente inviava a Ciano, per essere successivamente portate a conoscenza di Mussolini, vennero particolarmente apprezzate per la loro oggettività, per cui venne ripetutamente convocato da Ciano e dallo stesso Mussolini per discutere con lui valutazioni militari e strategie politico-militari.

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Per le sue indiscusse capacità analitiche e valutative, rese possibili da una approfonditissima conoscenza delle capacità belliche dell’Italia e da una notevolissima capacità di analisi psicologica e psico-sociale, venne inviato da Mussolini in Germania per incontrare gli Alti Vertici militari e rilevarne le intenzioni: Alti Vertici della Germania che a lui chiesero opinioni e previsioni in ordine all’esito della guerra e del possibile intervento nel conflitto degli USA a fianco di Inghilterra e Francia. Al suo ritorno dalla missione in Germania redasse una dettagliata relazione che fu portata a conoscenza di Mussolini.

Carboni in quanto Capo dell’Intellighenzia Militare italiana ebbe modo di seguire da vicino le vicende che riguardarono le scelte operate da Mussolini dopo l’entrata in guerra e ne ha voluto tracciare il seguente profilo psicologico:” Per far comprendere come io vidi e valutai l’azione del dittatore, nella fase conclusiva della sua carriera politica, ritengo utile accennare al mio primo incontro con lui. Esso risale al lontano periodo, tra la fine del 1913 e i primi del 1915, quando, giovanissimo ufficiale del 5° Reggimento Alpini, a Milano, frequentavo le sale di scherma cittadine per allenarmi a gare militari. In una di quelle sale conobbi il futuro capo del fascismo, che vi faceva delle apparizioni frettolose, e semiclandestine, poiché egli curava di tener celato il proprio nome, quantunque esso fosse, allora, soltanto il nome di un oscuro agitatore socialista. La pedana di scherma è uno spietato rivelatore psichico: nella scelta dei temi tattici, negli atteggiamenti, nelle reazioni, lo schermitore scopre la realtà della propria natura, aprendola, nuda, al giudizio di ogni spettatore fornito di spirito di osservazione. Mussolini sulla pedana, raccolto in una guardia bassa e forzata, il viso atteggiato, dietro la maschera metallica, ed un sogghigno preoccupato, non faceva mai della scherma netta, ma era invariabilmente alla ricerca del colpo proditorio, o spettacolare con azioni insidiose e scorrette. Irritato e come sgomento nelle parate, impulsivo e malsicuro nel gioco schermistico, sempre pronto a negare la ‘botta’ ricevuta, egli tracciava con la punta del suo fioretto, serrato nervosamente in un pugno tozzo e gracile, il preciso diagramma della propria struttura spirituale. Venivano così in luce la soverchiante puerile vanità, la istintiva ipocrisia, la volubilità, il temperamento inquieto e superficiale; tutto il quadro intiero di un carattere malfermo ed emotivo, più femmineo che virile. Gli abiti completavano l’espressione della sua personalità. A quel tempo egli vestiva molto poveramente, ma con povertà non dimessa, né disinvolta, ne indifferente, perché interrotta da vistose note di pretesa estetica, rivelatrici di un indomabile e ingenuo amore per le apparenze e di un arrogante desiderio di piacere e di imporsi: desiderio palese anche nel tratto, della cortesia esibita e senza naturalezza.” (2)

Bibliografia:

  1. Giacomo Carboni – Memorie segrete – Ed. Parenti – Firenze – 1955, p. 18.
  2. Idem – pp. XIV-XV.

 

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